Quelli che presentiamo sono solo alcuni estratti della monografia del Circolo, curata da Giorgio Di Liberto, Agostino Petrillo e Paolo Silvestri:
STORIA DEL CIRCOLO SCACCHISTICO GENOVESE ‘LUIGI CENTURINI’
1893-1993
INTRODUZIONE: CENNI SULLA STORIA DEL GIOCO A GENOVA DALLE ORIGINI ALLA COSTITUZIONE UFFICIALE DEL CIRCOLO SCACCHISTICO GENOVESE (1893)
Le origini del gioco degli scacchi in Liguria si perdono in una remota antichità. Come hanno dimostrato le ricerche di Adriano Chicco, tracce della presenza e della diffusione degli scacchi sono attestate fin dal tredicesimo secolo nei comuni rivieraschi.
Sappiamo per certo che la tradizione del gioco a Genova era già viva e saldamente impiantata alla fine del settecento, anche se probabilmente ristretta ad una serie di ambienti nobiliari. Doveva ancora nascere, infatti, la grande ondata delle Accademie, che – inaugurata da quella modenese verso la metà del settecento – portò alla fioritura e alla diffusione del gioco anche in altre realtà sociali. Ma fu soprattutto l’ottocento il secolo degli scacchi in Liguria – come in tutta Europa – specie dopo che la convenzione del 1854 ebbe stabilito delle regole internazionali valide per tutti i Paesi. Venivano così abolite numerose varianti locali del nobil gioco ed introdotte nuove regole; quali quella della presa ‘en passant’. A Genova vi era all’inizio un buon numero di giocatori di tutto rispetto, che usavano misurarsi con campioni d’oltralpe e con visitatori internazionali, magari di passaggio su navi ormeggiate in porto. Tra di loro vanno ricordati Francesco Saverio Lavagnino, in seguito esule da Genova per motivi politici in Francia ed in Inghilterra, e celebre nei circoli francesi dell’epoca per il suo gioco sottile e velenoso, Giobatta Robello, anche lui frequentatore dei ‘cercles d’échecs’ parigini; il prof. Tommaso Assalini, studioso di finali, e Max Bingen, genovese d’adozione, combattivo giocatore di matches contro forti dilettanti e giocatori affermati.
Nel 1856 fu fondato a Genova il primo ‘Casinò degli Scacchi’ presso il caffè ‘Bella Napoli’ in Piazza Soziglia e fu eletto presidente del Circolo l’avvocato Luigi Centurini (1820-1900), un funzionario pubblico noto per la sua integrità, interessato – oltre che al gioco vivo – alla problemistica e allo studio dei finali, che già nel 1853 aveva pubblicato pionieristici studi su quelli di Torre e Cavallo contro Torre; collaboratore di quella ‘Rivista degli Scacchi’ che fu tra i primi periodici europei specializzati, oltre che di prestigiose riviste straniere, quali ‘Palamède’, ‘La Régence’ e ‘The Chess Monthly’.
Al ‘Casinò’ convergevano tutti i migliori giocatori della città, tra cui il celebre De Saint-Bon, in quel periodo direttore dell’Osservatorio astronomico. Nella polemica tra ‘conservatori’ – fautori, cioè, delle vecchie regole del gioco italiano (passar battaglia e arrocco libero) – e ‘internazionali’, che sostenevano le nuove regole, compresa la presa ‘en passant’, Centurini si schierò dalla parte dei conservatori, sostenendo l’illogicità dell’ ‘en passant’; in questo corroborato dalle pungenti osservazioni del grande Janisch. L’affermarsi invece delle nuove regole internazionali lo rattristò, anche per alcune polemiche personali al riguardo, nate in seno al ‘Casinò degli Scacchi’. Negli ultimi anni della sua vita Centurini andò allontanandosi dall’ambiente scacchistico, irritato probabilmente anche dal sempre maggior ruolo svolto dalla teoria nel gioco (già all’epoca!…) ed arrivò a proporre di estrarre a sorte la disposizione iniziale dei pezzi, in modo da mettere in condizione i giocatori di dover utilizzare più il proprio cervello che le conoscenze cartacee… Così, quando il Circolo Scacchistico Genovese, che nel frattempo si era andato organizzando, ed aveva trovato una sede al ‘Circolo di Letture e Conversazioni Scientifiche’ in piazza Fontane Marose, gli offrì per acclamazione (1893) la presidenza onoraria, riconoscendolo quale grande autorità nel campo scacchistico, egli rifiutò.
Presidente del Circolo era allora G. Cuniali, che scomparve tragicamente qualche anno dopo; gli succedette alla presidenza il cav. Mohamed Capagi nel 1897, e l’ing. Agostino Perroni nel 1898.
Procedendo però in ordine cronologico in base alla documentazione in nostro possesso, troviamo le prime notizie riguardanti l’attività scacchistica a Genova nella ‘Rivista degli scacchi’ del 1859, in cui Serafino Dubois parla dell’esistenza del ‘Casinò degli scacchi’ e della presidenza Centurini.
Dello stesso anno (maggio 1859) è una lettera del Centurini alla rivista sulla controversa datazione di una edizione del libro di Gioacchino Greco. Dalla lettera e dalla erudita risposta del Dubois (rivelatasi poi nella sostanza esatta), si evince come le qualità di studioso del Centurini non si arrestassero all’ambito scacchistico, ma si estendessero invece anche al sapere bibliografico e alla grande cultura in generale.
Nel 1876 ritroviamo alcuni interventi di Centurini su quella che era nel frattempo diventata la ‘Nuova rivista degli scacchi’, concernenti il problema della internazionalizzazione della notazione e il lancio di una sottoscrizione per rendere possibile la pubblicazione del terzo volume dell’opera sulle aperture di Serafino Dubois.
Nel 1892 la ‘Nuova rivista degli scacchi’ dà notizia dell’inaugurazione a Genova – al Caffè della Funicolare – di un nuovo ‘Club scacchistico ligure’, sotto la presidenza del rag. Calcagno; circolo che si andava ad aggiungere a quello presieduto da Cuniali.
Nell’arco della sua vita ultracentenaria il circolo ha ricevuto la visita di molti scacchisti stranieri; alcuni di loro non li abbiamo conosciuti personalmente, per ragioni anagrafiche, ma ci è stata tramandata la notizia del loro passaggio dalle cronache delle riviste specializzate, dai pochi reperti disponibili nel circolo, e, in qualche caso, dai racconti di alcuni vecchi soci (Luigi Penco, Dario Vanni – oggi scomparsi) testimoni oculari degli avvenimenti. Al presente i due soci di più antica militanza, Giorgio Di Liberto e Mario Grassi (entrambi iscrittisi al circolo nel 1946!), sono gli unici depositari degli avvenimenti degli anni ’50.
Ma andiamo con ordine: oltre ai grandi Mieses e Tarrasch, entrambi ospiti del circolo agli inizi del secolo, ricordiamo il Campione del Mondo Alexander Alekhine, il quale venne a Genova due volte; nel 1914 e nel 1933, quando giocò una storica simultanea a cui partecipò, tra gli altri, Dario Vanni, il quale ricordava l’avvenimento con giustificata emozione.
Nel dopoguerra, prima di recarsi a Venezia per partecipare al grande torneo organizzato dal Maestro Szabados, e arbitrato da Luigi Penco, passò da Genova il MI argentino (in seguito trasferitosi in Israele) Miguel Czerniack. Egli era autore di diversi libri di scacchi particolarmente apprezzati (a quel tempo, la letteratura scacchistica in Italia era ancora ai primordi). Czerniack, accolto al circolo con grande interesse e cordialità, fu invitato da Penco a misurarsi con alcuni tra i soci più forti. In una partita simultanea contro cinque avversari (che vinse con il punteggio di 4,5 a 0,5) si ebbe un episodio curioso; un giovanissimo ed emozionatissimo Giorgio Di Liberto era riuscito a raggiungere un finale patto, e alla sua timida offerta di dividere la posta, il Maestro rispose: “accetto la patta; ma adesso mi dimostri come fa a pattare!”. di Liberto assicura di esserci riuscito e noi dobbiamo credergli sulla parola, in quanto non c’è più nessuno che possa smentirlo!
Czerniack, inoltre, accettò di giocare una partita contro Mario Grassi e Gino Fazzi (in consultazione); i nostri rappresentanti – con il nero – vinsero brillantemente, e il Maestro si congratulò con loro, pronosticando per i due giovani un brillante avvenire scacchistico. Mario Grassi conserva ancora il libro del Torneo di Buenos Aires del 1939, scritto da Czerniack, con sua dedica autografa.
In occasione del Torneo di Venezia Luigi Penco allacciò un buon rapporto di amicizia con il vincitore, il GM Alexander Kotov, che gli regalò una copia del libro del torneo, con una dedica elogiativa per l’impeccabile direzione; mentre il secondo classificato, il futuro campione del mondo Vassilij Smyslov, venne a Genova, suo gradito ospite, trattenendovisi per alcuni giorni. Mario Grassi ricorda che, in seguito, durante il Torneo di Montecarlo del 1967 – dove Smyslov giocava nella categoria Grandi Maestri, e Grassi nell’Open, il grande Vassilij ricordava con affetto Penco, e il piacevole soggiorno di Genova. Inoltre, Grassi racconta un episodio singolare: durante le passeggiate che li riconducevano all’albergo, il grande campione si metteva sovente a cantare a voce spiegata delle canzoni napoletane (tra cui Grassi ricorda ‘O sole mio’), con bella voce baritonale, incurante della curiosità stupita che dimostravano i passanti; e ai sinceri complimenti di Grassi, confessò che aveva esitato a lungo, prima di decidere se dedicarsi al canto o agli scacchi! (a giudicare dai risultati, si direbbe che la scelta è stata azzeccata, ma non esiste la controprova). Nell’ottobre del 1958 si fermò alcuni giorni a Genova il GM argentino Victor Rossetto, di origine piemontese, e quindi molto contento di trovarsi nella terra degli avi. Il 13 ottobre giocò una simultanea con l’orologio, contro sei dei più forti giocatori genovesi; vinse cinque partite, e pattò con Mario Grassi. Anche Bora Ivkov, GM jugoslavo, fu a Genova, come capitano di una squadra che giocò contro una rappresentativa genovese, vincendo largamente; e dopo l’incontro ci fu un simpatico scambio di doni, tra cui un libro di Smyslov sui finali, con dedica dello stesso Ivkov a Mario Grassi; il quale invitò il GM, unitamente alla giovane e simpatica moglie, a fare un giro turistico per la città. La cosa che più apprezzò, non fu il palazzo Bianco o la visita della città dal belvedere di Castelletto, bensì un gigantesco e delizioso spumone al pistacchio del bar Balilla.
Anche il MI ungherese Cyozo Forintos, poi diventato GM, dopo aver vinto il Torneo di Imperia del 1965 passò da Genova, intrattenendosi per qualche giorno con la bella moglie. Molto tempo dopo, il dott. Bianchi invitò il GM Parma, che si intrattenne per un breve periodo; e i GM Gligoric e Matanovic, di ritorno da qualche torneo, si fermarono al circolo, e giocarono due simultanee con il seguente risultato:
Gligoric: 7 vinte e una patta (con Dario Vanni)
Matanovic: 5 vinte, 3 patte (Benso-Raffo-Trombetta).
Agli inizi degli anni ’80 furono invitati a Genova il GM Romanishin e il GM femminile Nana Alexandria, sfidante per il titolo mondiale. L’invito era stato emanato dagli organizzatori della ‘Festa dell’Unità’; ma furono subito attratti nell’orbita del circolo, e, poichè erano scontenti dell’allogio offerto loro dal PCI, furono trasferiti al lussuoso Hotel Savoia Beeler di Nervi, a spese del presidente del circolo; ed essi ricambiarono l’apprezzatissima offerta frequentandone la sede, illustrando e commentando partite, e giocando con i soci. Nana Alexandria, prima di partire, firmò una copia dell’Informatore Scacchistico contenente alcune sue partite per la sfida al titolo mondiale, e le dedicò al presidente.
In tempi più recenti, e in occasione dei vari tornei organizzati a Genova, molti giocatori, soprattutto jugoslavi, sono divenuti habitués del circolo: i MI Vujovic, Mrdjia, Nicewsky, Nurkic ed altri. Spesso, tra un torneo e l’altro questi scacchisti passano dal circolo per qualche partita ‘lampo’, e le mille lire di posta sono ben accette dai soci ‘lampisti’! Ma un altro jugoslavo di cui desideriamo parlare è il macedone Krume Mitkowsky; presidente del circolo di Skopje, organizzatore di tornei importanti, e direttore generale della ‘Fonografica’ – una azienda di stato vero e proprio ‘covo’ di scacchisti – dove si trovano scacchiere dappertutto. Addirittura una stanza dell’azienda è attrezzata a mini circolo, ed è frequentata da giovani scacchisti come un vero e proprio circolo. Più volte, chi scrive (n.d.r. Giorgio Di Liberto) è stato ospite di Krume, e ricorda alcuni episodi divertenti. Un giorno, per esempio, mentre aspettava Krume, chiese alla segretaria se giocasse a scacchi, “un pò” rispose lei, e si offrì di fare una partita, nell’attesa del suo capo. Persi la prima, e vinsi la seconda; era candidato maestro! Krume era cieco per lo scoppio di un residuo bellico. Era un bravo giocatore, della forza di un buon candidato maestro, ma rifiutava sempre il passaggio di categoria, perdendo ad arte una o due partite per torneo, in modo da non raggiungere la norma che gli avrebbe dato il titolo, in quanto desiderava evitare lo ‘stress’ di giocare a un livello alto, e preferiva battersi con giocatori di prima nazionale.
Un altro macedone molto noto a Genova è il MI Rolando Redzepagic, arrivato secondo nel Festival Internazionale ‘Genova Città di Colombo’ del 1988. Egli trascorse un mese a Genova, ingaggiato dal circolo per tenere un corso di lezioni ai soci. Rolando familiarizzò con tutti e divenne ben presto un caro amico. Mentre si preparava il Torneo FIDE del 1989, il presidente del circolo, approfittando dei suoi viaggi di lavoro, prese contatto con vari grandi maestri per invitarli a partecipare; si recò a Salonicco, dove si giocavano le Olimpiadi, per ingaggiare la campionessa svedese Pia Cramling, pensando che una rappresentante femminile avrebbe certamente attirato l’attenzione dei ‘media’. La Cramling accettò di buon grado, e insieme a lei fu invitato il suo compagno di vita, il GM spagnolo Juan Bellon Lopez. I dettagli dell’accordo furono raggiunti in una taverna di Salonicco, davanti a una tavola imbandita di specialità greche, mentre alcune coppie danzavano i tipici balli greci.
A Salonicco Di Liberto entrò in contatto anche con la famiglia Polgar, con l’idea di schierare l’emergente Judit tra i partecipanti al Torneo. Egli fu invitato dai genitori delle tre ragazze prodigio nell’albergo dove erano alloggiati, ma le condizioni richieste da papà Polgar furono inaccettabili: egli chiedeva vitto e alloggio in albergo di prima categoria per tutta la famiglia (5 persone), oltre a un compenso di 5000 dollari per Judit. Non se ne fece nulla, ma le tre ragazze – veramente simpatiche e cordiali – parlarono a lungo di scacchi con Di Liberto; e Judit si offrì di giocare una partita ‘lampo’ alla cieca! Il risultato era scontato; Judit vinse in meno di venti mosse. Zsouzsa, poi, si offrì di scrivere, per ricordo, la più bella partita da lei giocata all’Olimpiade, contro la sovietica Amiloskhaja qualche giorno prima; e – preso un block notes sul comodino della camera, scrisse rapidamente tutta la partita, senza pensare un solo attimo tra una mossa e l’altra (naturalmente, conservo ancora il manoscritto).
L’ingaggio di Victor Korchnoj fu perfezionato a Bruxelles, dove il terribile Victor giocava un quadrangolare con Kasparov, Portisch e – se non erro – Short. Korchnoj era accompagnato dalla sua compagna, Petra, che non lo abbandonava mai. Dai primi approcci fu subito chiaro che il GM sovietico, espatriato in Svizzera, non aveva un carattere facile; ma gli ostacoli alla trattativa furono facilmente superati dopo una partita pattata, con il nero, contro Kasparov. Korchnoj era soggetto a sbalzi d’umore repentini: talvolta era cupo e scontroso, tal’altra allegrissimo, ma lo strano è che questi umori si alternavano spesso nello spazio di pochi minuti. Al suo arrivo a Genova fu accolto all’aeroporto dal presidente e dal vice presidente (l’ing. Ungaro) con grande cordialità e un grosso mazzo di fiori per la signora Petra, ma non fu soddisfatto della camera fissatagli all’Hotel Bristol che – allora – era uno dei migliori alberghi di Genova, e si dovette trasferirlo al Colombia. Korchnoj è un profondo studioso di storia e un bibliofilo appassionato. Durante la sua permanenza a Genova fu invitato a cena a casa del presidente; e, osservando i libri di scacchi della biblioteca, notò con interesse i volumi della collana ‘Weltgeschichte der Schach’, che disse ormai introvabile; naturalmente ne ebbe in omaggio due volumi, che mostrò di gradire molto.
I GM Lerner (che avrebbe poi vinto il torneo) e Krogius furono invece ingaggiati tramite il consolato sovietico di Genova; e non fu possibile ‘trattare’. Di Liberto e Ungaro erano orientati a contattare Tal – giudicato di maggiore richiamo, oltre che di maggior forza: ma furono costretti ad accettare la decisione della federazione sovietica (probabilmente informata da Krogius, la cui autorità in materia di scacchi era fortissima). Di Lerner, nonostante gli otto giorni trascorsi a Genova, nessuno può raccontare nulla; lo si vedeva soltanto durante le ore di gioco, e poi se ne perdevano le tracce. La stessa cosa si può dire per Krogius; burbero, scontroso, seppure molto cortese, ricordo poche sue parole. Alla fine del suo incontro con il nostro Flavio Guido, terminato patto, in seguito a una lunga e bella combinazione di Guido, mi confidò: “Questo ragazzo pensa da grande maestro!”
Il GM Farago fu invitato in seguito a una sua lettera in cui chiedeva di partecipare, ma anche lui faceva vita ritirata, e non si ebbe occasione di conoscerlo molto. Al contrario del MI Johnny Hector, svedese, un giovane estroverso e simpaticissimo, che si integrò splendidamente nel gruppo dei giovani del circolo; così come il MI Spyros Skembris che – unitamente alla giovane e intelligente moglie, Alexandra, montenegrina di nascita, fece subito amicizia con tutti e dimostrò un carattere allegro ed estroverso; e ancor ora, a sei anni di distanza, i rapporti epistolari e telefonici son attivi e frequenti (sia Hector che Skembris hanno ora raggiunto il titolo di grande maestro). Un rapporto simile si è instaurato anche con la coppia Pia Cramling e Juan Bellon; telefonano spesso, e non mancano di scrivere lettere e cartoline con loro notizia. Specialmente Pia mostra di ricordare con nostalgia il suo soggiorno di Genova, dove – sconfiggendo all’ultimo turno il suo compatriota Hector – raggiunse la prima norma di grande maestro maschile (ora ha definitivamente raggiunto il titolo). Proprio da Pia e Juan arrivò un segno di grande correttezza sportiva: il loro incontro diretto era arrivato al penultimo turno. Tutti si aspettavano che Juan – tagliato fuori da interessi di classifica – cedesse il punto alla compagna; ma, come sempre nei loro incontri diretti, siglarono una patta d’accordo: e questo esempio di grande sportività fu anche messo in rilievo dalla stampa.
I GM Klaric e Raicevic, che avevano già giocato nel Festival di Genova, furono invitati per la loro signorilità e correttezza; e rimasero cari amici degli scacchisti genovesi: essi invitarono il presidente a Novi Sad per le olimpiadi del 1990 (mi ricordo di essere stato ospitato per qualche giorno nel miglior albergo di Vukovar, dove Klaric era nato e viveva con la bella e giovane moglie; quello stesso albergo fu completamente distrutto – seguendo le sorti dell’intera città, vittima della dissennata guerra etnica che insanguinò la Jugoslavia. E i coniugi Klaric, perduta la casa e tutti gli averi, ripararono in Ungheria. Non mancarono mai di farci avere loro notizie; buone, alla fine, perchè riuscirono a ritornare in Patria senza danni personali: ed ora Slatko gestisce una piccola società di import-export con una dozzina di dipendenti). Fu proprio Slatko Klaric che, in occasione della mia presenza a Novi Sad dove mi trovavo come suo ospite, in occasione delle Olimpiadi, mi presentò al Campione del Mondo Gary Kasparov, di cui è amico (in occasione dell’ultima difesa del suo titolo, Kasparov fu ospite di Klaric in Jugoslavia; e io ero stato invitato a passare qualche giorno con loro, ma purtroppo dovetti rifiutare per questione di lavoro) e cenammo insieme più di una volta. Io cercavo di coinvolgerlo – in quanto Campione del Mondo – a prestare la sua immagine e la sua fama per rafforzare la presenza delle manifestazioni scacchistiche nel quadro delle celebrazioni colombiane; Kasparov – dapprima – non era disposto ad assumere alcuna iniziativa senza consultare il suo avvocato e procuratore di Londra; ma alla fine, dopo un buon pasto (per me e per Klaric, in quanto lui mangiava solo bistecca e insalata scondita) accettò di scrivere una lettera al Sindaco di Genova (*); anzi mi diede alcuni fogli di carta da lettera intestata (Gary Kasparov – Chess World Champion) e mi consentì di scriverla io stesso. Naturalmente non me lo feci ripetere due volte, e indirizzai una bella missiva, ringraziando il Sindaco per la sua opera in favore degli scacchi, e dicendosi lieto di mettersi a disposizione di qualsiasi iniziativa che decidesse di prendere per favorire lo sviluppo degli scacchi a Genova. Non ero certo che questa totale disponibilità fosse accettata da Kasparov; invece lui lesse la lettera (l’avevo scritta in inglese per correttezza) e la firmò.
_____________
(*) Il Sindaco di Genova era – in quel momento – il dott. Campart; per quanto possa sembrare impossibile – a chi non conosce l’arroganza del potere in Italia – la lettera non ebbe l’onore di qualsivoglia risposta. Fu semplicemente ignorata! Non ebbi più occasione di parlare con Kasparov, in seguito; ma spesso penso a quell’episodio con un profondo senso di vergogna.
Un altro straniero che è diventato habitué di Genova e dei tornei organizzati nella nostra città è il M° tedesco Daniel Berg, che intrattiene un rapporto di amicizia con il Socio Edgar Romano. Ma una citazione particolare va fatta per Meir Brav, ottimo giocatore israeliano con il titolo di Maestro; egli ha vissuto per cinque anni a Genova, dove era stato inviato come Direttore Amministrativo dalla ZIM (importante Compagnia di trasporti marittimi israeliana): per tutto il periodo della sua permanenza nella nostra città fu iscritto al Circolo, vivendo con appassionata partecipazione la vita sociale: e fece anche parte della squadra del ‘Centurini’ che giocò nella Coppa Italia. Talvolta la sua bella moglie e i suoi quattro marmocchi venivano a prelevarlo al Circolo, portando una ventata di allegria e di confusione. Dal momento che Meir ripartì per la sua nuova destinazione (Hong Kong), non mancò mai di scrivere e telefonare notizie sue e della famiglia; e, a Natale, arriva sempre una sua cartolina di auguri ai Soci. Recentemente, dopo essersi incontrato con lo scrivente a Salonicco, dove giocava alle Olimpiadi nella squadra di Hong Kong, ritornò a Genova con uno dei suoi figli, per una breve vacanza, promettendo che sarebbe ritornato presto. Al Circolo lo attendiamo e lo ricordiamo con grande affetto.
Questa galleria di personaggi è probabilmante incompleta; ma è significativa di come la passione per gli scacchi riesca a far nascere relazioni – e talvolta vere e proprie amicizie – dando un senso al motto degli scacchisti: GENS UNA SUMUS.
(CM Giorgio Di Liberto)
La testimonianza della vita di un circolo non può non far menzione di coloro che hanno frequentato le sue sale in maniera più continua ed appassionata. Spesso la passione (per gli scacchi) si stempera nel corso degli anni, diventando dolce e piacevole abitudine. Non è facile trovare un termine univoco che li definisca: habitués, appassionati, assidui frequentatori? Mi riferisco a quei giocatori che – con percorsi di vita diversi – con approcci ed esperienze scacchistiche le più varie hanno incominciato a visitare quotidianamente, o quasi, il circolo per alcune (talvolta molte) ore; approdando così ad una frequentazione che nel corso degli anni è diventata talmente assidua che – se il circolo, gli scacchi erano diventati parte importante della loro vita, il circolo era – soprattutto – loro. La presenza, i gesti, le parole, le battute, le manie, le nevrosi, i silenzi, i piccoli riti quotidiani e il gioco stesso di questi giocatori erano, e sono, il circolo. Cosa spinge un amante del gioco a praticarlo tutti i giorni e per così tante ore? Passione ed ovviamente tempo libero. Ecco che la frequenza e la durata delle sedute (nel senso più letterale della parola!) è la ‘conditio sine qua non’ perchè il visitatore di un luogo diventi un ‘habitué’. Dobbiamo sottolineare che – per gli scontati motivi legati al ciclo della vita (l’età dei giochi, degli studi, degli amori, del lavoro, della famiglia, della pensione) gli ‘habitués’ più numerosi erano – e sono – gli over 55 e qualche under 20. Ma questi ultimi piano piano, crescendo, tendono a diradare le visite; mentre i primi – al contrario – diventano dei veri e propri monumenti di fedeltà, per lo meno fino a quando l’avanzare degli anni, e i conseguenti acciacchi, rendono faticosa la quotidiana visita al circolo. Naturalmente ci sono le eccezioni: gli habitués trentenni e quarantenni, ma sono rari (la loro frequentazione può essere spiegata dal celibato, da un’occupazione part-time, da un’eventuale moglie assai liberale, ipotesi piuttosto rara).
Sul piano del gioco, la ripetitività delle visite è controbilanciata e giustificata dalla varietà sconfinata delle posizioni delle partite; come per i giocatori di carte, per i quali la struttura è sempre la stessa – il tavolo, le sedie, le carte – ma la struttura, l’intrinsecità del gioco, le smazzate, sono sempre diverse. E il bambino-ludico che è in noi è affascinato proprio da questo flusso che cambia continuamente, e che – ogni pomeriggio, ogni sera – pone nuovi problemi.
Ecco apparire il Consigliere di Cassazione Giovanni Fontana – oggi non è più – che per anni ha dilettato i suoi avversari e spettatori con la sua ‘verve’, con la sua ‘partita parlata’; sì, la ‘partita parlata’: la partita da caffè in cui i contendenti commentano le mosse, le posizioni, in una sfida nella sfida all’ultima battuta! La gamma delle ‘partite parlate’ và da una battuta ogni tanto all’estremo di ‘tutti gli scacchi minuto per minuto’ con eventuale collegamento con le altre scacchiere. Al bar Parente, in piazza Leonardo da Vinci, sede del Circolo dagli ultimi anni del ’60 fino al giugno del ’72 – senza chiusura settimanale, fino a quando questa divenne obbligatoria, e poi chiuso al martedì – nel primo pomeriggio cominciavano le sfide al gioco ‘lampo’. Classico, per esempio l’incontro tra il dott. Rougier e Sesenna. Sulla cadenza dei cinque minuti per giocatore, tradizionale avversario del giudice Fontana (terza Nazionale) era il dott. Pio Bianchi, di Cogoleto, forte giocatore di 1a categoria Sociale. Fisicamente assai diversi – di bassa statura il Giudice, alto e dinoccolato il Bianchi – giocavano ‘blitz’ (con un terzo giocatore che variava di volta in volta) accanendosi in piattini (*) che andavano avanti per ore. Verso una certa ora, il Bianchi era solito ordinare un té con cinque pasticcini (i tradizionali piccoli pasticcini di pasta frolla, spesso con una ciliegina centrale): mentre il Fontana, accanito fumatore, chiedeva la sua ‘bibita amara’, e cioè un pacchetto di Nazionali-esportazione. Questa tenzone quotidiana si interrompeva immancabilmante il sabato, poichè il giudice Fontana riservava tale giorno alle sue sfide con Giancarlo Santoro – Maestro internazionale per corrispondenza. E per cinque ore – dalle tre del pomeriggio alle otto di sera – il senso posizionale e il gioco di Santoro venivano messi a dura prova – tra mille battute – dalla caotica e brillante fantasia del Giudice.
_____________
(*) “Piattino”: vocabolo probabilmente attinto dal gergo del ‘poker’ (e introdotto, pare, nella pratica del gioco degli scacchi dal dott. Eugenio Trombetta), stava – e sta tuttora – ad indicare le poste che accompagnano una serie di partite giocate da tre contendenti che si alternano secondo il principio del ‘chi perde, esce’. Le modeste quote versate per ogni partita perduta vanno a premiare il giocatore che vince tre partite di seguito.
Un personaggio tipicissimo di quegli anni era Mario Silvestri – pensionato; portava capelli lisci, fissati all’indietro con un filo di brillantina, e ostentava – ad entrambi i mignoli, una lunga unghia curatissima e quasi lucente. Giocatore di categoria sociale, usava chiamare la Regina con strani nomi (forse dettati da qualche amore giovanile?): Amalia Filippetti quello più ricorrente; e ancora oggi ricordato. E quando la povera Amalia – dopo essere stata a lungo in ambascie – veniva catturata, romantico era il suo commento: ‘s’immolò!’. Quando il gioco del bianco o del nero evolveva in senso negativo, era solito annunciare: ‘Aiuto Gaetano!’ o ‘Mamma li turchi!’ quando la situazione precipitava.
Per Mario Silvestri il Circolo rappresentava – per lo meno nelle ore serali – un rifugio; una vera e propria seconda casa; e così verso le otto il Silvestri cenava: un caffellatte e un paio di immancabili biscotti caporali; un rito (che si ripeteva ogni sera) nonostante le infastidite reazioni del giudice Fontana: “ma la finisca con questa risciacquatura”, riferendosi ai ‘caporali’ che appena immersi si scioglievano, imponendo al povero Silvestri di ricuperarne le briciole con rumori quasi obbligati: un rito che – comunque fosse – non interrompeva l’osservazione attenta della partita. Tuttora oggetto di studio per coloro che vissero quegli anni, è la sua famosa e lapidaria espressione: ‘Conforme’ (coniata dalla fantasia dell’autore negli anni 1970-1972. In merito esistevano varie interpretazioni: la più accreditata delle quali vedeva in quel termine una conferma del Silvestri ad una sua congettura – le mosse eseguite corrispondevano, cioè, alle sue ipotesi, alle sue previsioni. Silvestri era uno spettatore bonario, mai invadente, anche se la profondità dei suoi commenti – fatti rigorosamente a fine partita – lasciavano, talvolta, a desiderare. Spettatore, sempre; ma quando, verso il 1971, fece le prime apparizioni al Circolo il sig. Luchino Arkel, il sig. Silvestri smise i suoi panni di spettatore, per cimentarsi con il nuovo arrivato: e, durante la partita, lo minacciava: ‘Attento, sig. Arkel, che le dò l’unto del mago!’.
Un altro giocatore di categoria sociale – assiduo frequentatore negli anni ’60 e ’70 – era il sig. Anderle, la cui origine friulana traspariva nell’inflessione del suo italiano: contro di lui l’allora giovane Paolo Silvestri (l’estensore di queste pagine) si illuse – in un torneo sociale – di vincere la partita affibbiandogli un doppio scacco di Cavallo alla sua Regina e ad un suo… Cavallo! E il Silvestri – più stupito che dispiaciuto – perse così il cavallo e la partita. Accanto a questi personaggi, altri giocatori – forse meno pittoreschi – hanno assicurato la vita e la continuità del Circolo. Per simpatia e doti di correttezza e signorilità molti altri andrebbero ricordati.
Degno di particolare menzione è Giancarlo Berardi, che da più di vent’anni ricopre la carica di Segretario; un lavoro oscuro, ma fondamentale sul piano amministrativo, portato avanti con dedizione quotidiana e con un pizzico di apparente inflessibilità: il ‘burbero benefico’ di goldoniana memoria.
(CM Paolo Silvestri)
Un centenario è un gatto che si compiace della sua coda. Ne è fiero, la guarda con orgoglio e l’ostenta ai quattro angoli del mondo. Può farlo anche il “Circolo Scacchistico Genovese Luigi Centurini” che, per l’organizzazione impeccabile, l’attività sociale, il serio impegno etico e civile, i brillanti risultati raggiunti dalla sua poderosa squadra, è un pilastro dell’olimpo scacchistico nazionale.
Giudizi per niente encomiastici, espressi da un socio che, da circa cinquant’anni, ha seguito da vicino la vita del Circolo.
I giovani, le nuove leve, sentono le responsabilità sempre maggiori (lo scacchismo italiano è in pieno rigoglio), e portano avanti il testimone d’una appassionata staffetta. L’avvenire è promettente. Lo dice la concretezza dei fatti. I risultati tecnici, in campo nazionale, sono lusinghieri. Giorgio Di Liberto, da anni presidente del Circolo, molto, ma molto più serio delle barzellette che racconta, può essere soddisfatto del suo lavoro e della sua assiduità. Ma forse non è il momento di fare delle lodi. È il centenario del Circolo. So che cosa, da me, vecchio socio, si chiede: uno sforzo di memoria. Premetto che è spesso così corta , da non farmi ricordare dove ho messo gli occhiali. La vita è un mostro insaziabile che divora i ricordi. Da vecchio ne trovi solo i relitti. Nei musei storici, poche sale ti riassumono – magicamente – la vita di un secolo. “Tutto quì?” ti chiedi, sorpreso: e, da buon genovese, pensi al prezzo del biglietto. Ma la ‘magìa’ ha funzionato: pochi segni e simboli, qualche stampa, sono bastati a ricostruire un ambiente. Può sembrare un paradosso dire che basti una ruota per ricordare una carrozza. Il vecchio ‘Centurini’ aveva – nella sala da gioco – un’armatura medioevale. Riportava ai tempi della cavalleria, e incuteva rispetto, silenzio. Anche ai giocatori estroversi, come Giorgio Di Liberto, miracolo!, mai inacidito con gli anni. Gli arredi erano semplici, funzionali. Sugli otto tavoli, ben discosti uno dall’altro, erano intarsiate le scacchiere; i pezzi dei giochi erano custoditi in tiretti, annessi ai tavoli. Gli orologi, a quei tempi di tipo monumentale, venivano richiesti al segretario (per molti anni il Maestro Internazionale Massimiliano Romi, di origine triestina, vera colonna del Circolo, sotto ogni aspetto). In un grande armadio nero di stile ‘liberty’ c’erano – oltre agli orologi – numeri dell’ ‘Italia Scacchistica’, libri – tra i quali ‘Trofei di Capablanca’ e ‘Ultime lezioni’ di Luigi Penco, nostro presidente. Di questa figura di organizzatore e divulgatore del gioco sapevamo che – nel 1934 – aveva vinto il Campionato Ligure e che da poco – cioè dal 1950 – faceva parte del Comitato direttivo della F.S.I. Qualche anno dopo, fu nominato Arbitro della F.I.D.E. Solo Romi era più anziano di lui. Con i soci mantenne sempre modi gentili; la sua prematura scomparsa ci lasciò addolorati. Prevedemmo che avrebbe avuto per conseguenza un periodo di crisi del Circolo. Qualche socio l’abbandonò. La perdita della sede sociale parve il colpo definitivo. Della ripresa dirò più avanti, quando avrò detto ancora qualche cosa del vecchio ‘Centurini’, quello di cui sento maggiore nostalgia.
Questa volta devo dare torto a Dante, quando dice:…”Vassene il tempo, e l’uom non se ne avvede”…Mi guardo intorno e non vedo più tanti nomi scomparsi: Alberto Briffa, Dario Vanni, Eugenio Trombetta, Pietro Solisio, Giuseppe Fontana, Matteo Molinari. Cito per ultimo Massimiliano Romi, che, per convinzione mia e di molti soci anziani, fu a lungo l’anima del Circolo. Di lui – di sfuggita – ho già detto qualche cosa. Merita di più. Fu un uomo e uno scacchista eccezionale; quando, per ragioni di età e di salute dovette rinunciare al Circolo, fui tra quelli che, saltuariamente, lo andarono a trovare finchè visse. Gli portavo notizie del Circolo, ed egli mi ricompensava, mostrandomi le partite che aveva giocato con i maggiori giocatori dei suoi tempi: Alekhine, Nimzowitsch, Rubinstein. Quei nomi prestigiosi li conoscevo dalla ‘Partita d’oggi’, un ponderoso volume, ormai introvabile. Ciò non mi impediva di guardare, con ammirazione e rispetto, chi aveva avuto di fronte cotanti avversari. Quando si accorgeva che quelle partite erano troppo complicate per il mio modesto ingegno, passava alle barzellette o a qualche episodio della sua vita travagliata. A Parigi aveva fatto il portiere d’albergo. Una sera era stato sorpreso da un cliente mentre analizzava un finale: ripose rapidamente sotto il banco i pezzi e la scacchiera, ma quello gli propose di fare una partita. Per quella notte nessuno dei due toccò le lenzuola. Romi parlava le più importanti lingue europee: ciò fu utile alla nostra squadra, diretta a Montecarlo per giocarvi un torneo. Gli orologi ci avevano procurato grane con la dogana francese. Parlò Romi e tutto fu chiarito; disse a quei pignoli funzionari che, per noi, gli orologi equivalevano alle scarpe dei giocatori di calcio. Del mio gioco aveva poca stima: diceva che esageravo nei fianchetti. Apprezzai l’ammonimento, ma non mi valse molto. Aveva, invece, grande stima di Grassi (e i fatti gli diedero ragione: allievo, da giovanissimo, del Maestro triestino Giulio De Nardo, aggiunse agli insegnamenti avuti una personalità gagliarda, che lo portò ad un pelo dal massimo titolo nazionale, acquisito da Enrico Paoli solo in virtù dello spareggio tecnico. Gli domandai, un giorno, quale fosse il segreto di molte sue vittorie, e mi rispose: “Se l’avversario è forte, cerco di avere un miglior finale”. “Se non lo è?” chiesi ancora. La sua risposta fu per niente oscura: “Guardo da che parte arrocca”…).
Devo a Dario Vanni se – dopo essere capitato in una bisca camuffata da circolo scacchistico – pervenni al ‘Centurini’. Gliene fui sempre grato. Chi lo conobbe, conserva di lui un buon ricordo. Gioviale, buontempone e buongustaio (nei pranzi che precedevano gli incontri a squadre, era l’ultimo ad alzarsi da tavola), amico di tutti, sapeva – con una battuta – rasserenare anche chi avesse perduto una partita ‘vinta’. Era giocatore di attacco, battagliero, ma arrischiava troppo. Quando veniva a trovarsi in posizioni difficili diceva: “Una pezza la trovo sempre”. E poi, per convincere chi l’ascoltava, aggiungeva: “So io quanti ceri dovrei mandare alla parrocchia di Migliarino Pisano (il suo paese di nascita)”. Se è vero, come dice Giorgio Bassani, che del passato tutto può divenire leggenda, Dario Vanni, per quel che riguarda lo scacchismo genovese, ne fu un personaggio.
Il suo opposto fu Matteo Molinari che, da quanto mi disse, aveva appreso a giocare in prigionia. Ho sempre pensato che fossero stati i carcerieri inglesi a ispirargli la flemma e la freddezza, necessarie a chi voglia dedicarsi con successo al nostro gioco. Era difficile che commettesse gravi inesattezze. Il suo stile capablanchiano, come si può immaginare, era molto apprezzato dal presidente Luigi Penco, profondo studioso del grande campione cubano, rivale di Alekhine. Senza voler fare qui la storia degli scacchi, dirò che i giochi chiusi erano sempre più preferiti a quelli aperti. La partita di Re era al tramonto. Sommovigo – poi trasferito in Piemonte – Celesti e Zavanone aprivano di Donna. Con l’israelita Czerniack fece la sua comparsa la Pirc.
Giorgio Di Liberto dedicava agli scacchi molto meno tempo di oggi: metteva però in mostra uno stile vario e personale. Marco, il suo povero fratello, era molto meno spericolato e – con tutto il rispetto che ho per l’amico Giorgio – si faceva preferire. In seguito, molti, tra i quali io, dovettero modificare i loro giudizi e riconoscere che, sotto una scorza fragile, non c’era solo improvvisazione e che il discusso giocatore aveva le carte in regola per aspirare a risultati di rilievo. Oggi, del Circolo ha fatto una famiglia. E questo non è certo piccolo merito.
Un giorno vidi un anziano signore che, seduto in riva ad un ruscello, ne fissava le acque scorrenti. Incuriosito gli domandai la causa di tanta attenzione: “Guardo quest’acqua perchè è la stessa che vedevo da giovane” mi rispose con un ineffabile sorriso.
Qualche cosa di simile accade a me, quando vedo i giovani giocare a scacchi. Ogni cambiamento è fittizio, di effimera durata. Un Circolo è come un albero, cui a primavera rispuntano le foglie perdute in autunno. Come un teatro che non muti tabellone.
Sono passati molti anni da quando un ufficiale austro-ungarico, impegnato in una difficile partita a scacchi, impermalito nel vedermi con il naso appiccicato alla vetrata del caffè, gli occhi fissi sulla scacchiera, mi fece minacciosamente segno di filare. Forse aveva i nervi scossi dalla guerra che l’Impero combatteva su più fronti, forse, ed è presumibile, era soltanto irritato di trovarsi in una cattiva posizione e di dover, fra poche mosse, abbandonare. Nè posso escludere che, in me, avesse ravvisato un ragazzino italiano. Un nemico in erba. A malincuore mi staccai dal mio punto di osservazione e mai seppi come si fosse chiusa quella partita. Lo sguardo cattivo e infastidito che aveva accompagnato il gesto mi era parso troppo eloquente perchè osassi indugiare un istante.
L’età avanzata, ora, mi fa lo stesso cenno perentorio. Ma ai ricordi sono attaccato. Sono il solo paradiso da cui non siamo cacciati. Ecco perchè il centenario del ‘Centurini’, per me e per i soci più anziani, non è solo un gatto che si guardi la coda; vediamo in esso un faro, che porta la sua luce lontano e guardiamo con ammirazione e fiducia ai giovani. Citarli è inutile; li conoscete tutti. Viva il ‘Centurini!’.
(CM Arrigo D’Augusta)